Don Bosco, Papa Francesco e l’insegnamento ai giovani

papa-francesco-don-bosco-giovaniIl 21 e il 22 giugno Papa Francesco si recherà in pellegrinaggio a Torino per due eventi importantissimi: l’ostensione della Sacra Sindone e le celebrazioni per il bicentenario dalla nascita di Don Bosco (1815-1888). In questa occasione così solenne il Pontefice riceverà in regalo, dal sindaco della città Piero Fassino, ventidue lettere autografe del santo, riprodotte su carta del XIX secolo in copia anastatica. Si tratta di una parte del carteggio di San Giovanni Bosco, nello specifico le missive indirizzate al benefattore di quest’ultimo, il barone Feliciano Ricci Des Ferres, dal 1856 al 1888 e i cui originali sono conservati nella Biblioteca di Palazzo Cisterna. Le lettere, scritte con uno stile diretto e, nello stesso tempo, intriso di spiritualità, racchiudono il racconto delle missioni del santo, ma anche le richieste di fondi al nobile, il quale si è sempre dimostrato dedito alle opere di carità. Sul sito della Provincia di Torino è possibile vedere le immagini di alcune di queste lettere e leggerne alcuni stralci. Uno di questi, tra i più famosi e citati, dice: “O signor Barone, voi dovete assolutamente salvarvi l’anima, ma voi dovete dare ai poveri tutto il vostro superfluo quanto vi ha dato il Signore. Prego Dio che vi conceda questa grazia straordinaria. Spero che ci vedremo nella beata eternità. Pregate per la salvezza dell’anima mia”. Da queste poche parole, scritte nel gennaio 1888, ovvero poco prima della morte del santo, emerge non solo il profondo messaggio di eternità presente nella religione cristiana, ma il senso della missione di Don Bosco, cioè aiutare gli altri, i più deboli. La vita consacrata di quest’uomo, canonizzato da Pio XI nel 1934, non fu un esempio solo per i contemporanei, ma anche per noi e tutti conosciamo dei particolari sulla sua missione e sulle vicissitudini esistenziali, dal lungo apostolato tra i giovani di Torino fino alla fondazione, nel 1859 della Società Salesiana che porta il suo nome e, nel 1872, della Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Gli scritti e i carteggi con personalità di spicco ottocentesche ci rimandano un’immagine di San Giovanni Bosco completamente assorbita nelle opere di bene e negli insegnamenti cristiani, ma anche un’esistenza piena, fatta di studi intensi, fatiche, povertà e un carattere molto forte, forgiato proprio sulle difficoltà. Una parte fondamentale di questa illustre vita fu dedicata, come già accennato, ai giovani e, in particolar modo, alla loro educazione, il centro del messaggio religioso che lasciò al mondo intero.

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Don Bosco con i suoi ragazzi

 

Il metodo pedagogico studiato dal santo merita di essere approfondito e riscoperto per due motivi: prima di tutto venne messo a punto in un periodo storico in cui non c’era una grande attenzione ai periodi dell’infanzia e dell’adolescenza. Queste erano considerate, infatti, “tappe obbligatorie” preludio dell’età matura su cui si plasmava l’intera personalità e il destino di un individuo. In realtà, come sappiamo oggi e come aveva compreso San Giovanni Bosco, i primi anni di vita sono le fondamenta dell’individualità di ognuno di noi ed è necessario dar loro la giusta attenzione allo stesso modo in cui ci si prende cura di una piantina in modo da farla crescere forte e sana. Inoltre la pedagogia di Don Bosco è ancora attualissima nei metodi e nei concetti esplicati. L’opera che rappresenta il fulcro dell’intero metodo d’insegnamento di San Giovanni Bosco è “Il sistema preventivo nella educazione della gioventù” (1877). Questo testo, proprio perché scritto dopo anni di esperienza “sul campo”, non è mera teoria, ma la “traduzione” in parole delle azioni compiute dal santo il quale, pur avendo redatto numerose opere in vita, amava stare in mezzo alla gente, fare e non solo pensare. Prima di addentrarci nei suoi insegnamenti è il caso di fare un passo più in là, per ricordare che l’Ottocento fu il secolo dei pedagoghi, il momento della presa di coscienza del valore dell’infanzia e dell’adolescenza, del ruolo del bambino nella società non solo in quanto adulto in potenza, ma come una piccola personalità in formazione, non un’appendice della famiglia ma una vera e propria “personcina”, se mi si passa il termine, con diritti, doveri ed esigenze particolari. Grazie a illustri personalità come Don Bosco, Maria Montessori (1870-1952) o Friedrich Froebel (1782-1852) si stabilì il principio secondo cui non è il bambino a doversi adattare al mondo adulto, bensì il contrario e, dunque, sia necessario seguire il suo sviluppo naturale, accostandovi il giusto metodo educativo, senza forzature. Un discorso, questo, già iniziato nel Settecento dal celebre Jean- Jacques Rousseau (1712-1778).   Per comprendere davvero la pedagogia di Don Bosco non si possono ignorare tali personaggi e, nello stesso tempo, bisogna tenere a mente sei parole chiave che furono le colonne portanti della teoria elaborata dal santo: prevenzione, amore, fede, comprensione, libertà e ragione. Vediamone l’applicazione: la prevenzione è, forse, la più importante di tutte. San Giovanni Bosco, infatti, contrappose il sistema preventivo a quello repressivo. Negli anni in cui si occupava di insegnamento ai più giovani, egli notò che si preferiva punire le mancanze, perfino con castighi corporali, piuttosto che spiegare al ragazzo in cosa avesse mancato e perché. In questo modo la figura dell’insegnante diveniva una sorta di “padrone”, di terribile “divinità” chiusa nel microcosmo scolastico, rispettata perché temuta da tutti, ma non davvero compresa. Giovanni Bosco, invece, chiarì che maestri o direttori devono essere delle guide per i giovani, non dei carcerieri, soprattutto in virtù del fatto che ogni gesto amorevole instilla fiducia e autostima nel bambino, mentre ogni tentativo di repressione pianta nel suo cuore il seme dell’odio e della vendetta. Dunque gli educatori devono far rispettare le regole, ma usando le parole, non ricorrendo mai alla violenza, tentando di correggere i comportamenti sbagliati con spiegazioni sulle conseguenze a cui questi possono portare e con la presenza costante, vigile ma non severa. Il bambino o il ragazzo non devono essere costretti a imparare o a comportarsi bene, ma guidati verso ciò che è meglio per loro con un atteggiamento amorevole. Qui entra in gioco la seconda parola chiave, strettamente correlata alla prima, l’amore: chi detiene il potere, da sempre e in qualunque ambito, può decidere di usarlo con la forza, presupponendo una distanza tra lui e il suo sottoposto che si esplica in uno sguardo giudicante, “dall’alto”, oppure può scegliere di annullare tale divario e porsi all’altezza di un padre che sorveglia con affettuosa e mai eccessiva apprensione gli alunni. Non importa quanto questi possano essere ribelli e di carattere difficile; secondo San Giovanni l’amore è l’unico strumento per ottenere visibili miglioramenti anche nei casi apparentemente irrisolvibili. Non si tratta certo di una bontà che sconfina nel buonismo, ma di un “patto” non scritto tra educatore ed educando secondo il quale all’attenzione data deve corrispondere un comportamento adeguato alle regole, queste sì scritte, che non deve essere perfetto, ma può evolversi seguendo la personalità del giovane, ovvero in base alle sue inclinazioni e agli insegnamenti e ai modelli positivi offerti dall’educatore. Insomma, più della punizione può la vicinanza che si esprime con gesti e parole amorevoli, il cui scopo è far sentire il giovane protetto in fasi tanto delicate della crescita. Secondo l’opinione di San Giovanni Bosco è più utile far entrare nelle menti dei fanciulli e degli adolescenti ricordi pieni di pazienza, piuttosto che episodi di castighi che possono influenzare negativamente la vita adulta. La fede è un esempio di tutto ciò: Don Bosco era sicuro del fatto che l’amore per questa non potesse essere inculcato a forza, ma dovesse essere parte di un percorso educativo in cui ai ragazzi viene insegnato il valore stesso della religione, senza alcuna costrizione, bensì incoraggiando con pazienza l’accostamento ai sacramenti. Per fare tutto questo gli educatori non devono avere alcuna macchia sulla loro moralità e credere fermamente che non siano le coercizioni a forgiare l’animo, ma il buon esempio di una guida che per prima utilizza il mezzo della forza di volontà unito all’amorevolezza. San Giovanni chiarì ne “Il Sistema preventivo nella educazione della gioventù” che il rispetto e la voglia di apprendere si ottengono soprattutto lasciando agli alunni la libertà di scoprire il gioco, lo sport e le arti, veri ed eccezionali “maestri” in grado di insegnare, con note, colori, corse, recite e canti, la vera disciplina che non prescinde mai dalla curiosità, dal divertimento e dall’allegria che il sapere può dare. Non solo: la felicità data dalla conoscenza avvicina l’uomo a Dio, lo fa entrare in contatto con la parte più spirituale di sé, proiettandolo nella profondità e nella bellezza del messaggio divino, senso ultimo della vita. Alla base di tutto stanno la comprensione e la ragione, ovvero la consapevolezza che l’educatore deve avere del proprio ruolo e del metodo di insegnamento da cui dipende il futuro degli alunni. Don Giovanni Bosco cita, nella sua opera di pedagogia, un altro celebre e carismatico personaggio: San Filippo Neri (1515-1595). Quest’ultimo fu una figura molto particolare, a dir poco eccentrica, ma animata da una fede gioiosa, allegra, che traspariva dal suo temperamento ironico, ottimista eppure molto serio e preciso per quel che concerneva le questioni rilevanti. Potremmo dire che il santo fu uno dei precursori di quella che diverrà la pedagogia ottocentesca e ben tre secoli prima, grazie allo spirito fiero, libero dalle convenzioni che animò il suo insegnamento ai ragazzi di strada. San Filippo, infatti, diceva: “Chi vuole essere obbedito, comandi poco” questo insegnamento, insieme alla sua santità priva di malinconia, ma piena di libertà e buonumore fu uno dei modelli principali a cui si ispirò San Giovanni Bosco. All’inizio di questo articolo abbiamo detto che il suo metodo pedagogico è ancora molto attuale.

Don Bosco
Don Bosco

I motivi sono molteplici e tutti spiegati nei suoi scritti: gli educatori non possono essere semplicemente delle persone dedite all’insegnamento nozionistico; il loro compito non è quello di “versare” conoscenza nelle teste degli studenti, ma di accompagnarli lungo la strada del sapere attraverso la comprensione della cultura che è, nello stesso tempo, conoscenza della vita. Benché oggi, per fortuna, non si usino più le punizioni corporali, capita che i ragazzi vengano ripresi a parole, ovviamente con buone intenzioni, per le loro mancanze. Ciò è legittimo, ma San Giovanni precisava già nell’Ottocento che gli ammonimenti non devono essere fatti pubblicamente, in quanto costituiscono una fonte di umiliazione per il ragazzo che li riceve. Una questione davvero attuale sono i voti e i genitori lo sanno molto bene: bisognerebbe riuscire a spiegare ai ragazzi che un voto non è un “marchio” sul loro valore in quanto persone (nessuna persona ha un prezzo, poiché ognuno di noi è un pezzo unico di incalcolabile valore), ma un semplice giudizio dato alla loro preparazione in un preciso momento e, dunque, modificabile. Sembrano banalità, eppure accade ancora che un voto ferisca nel profondo come una sentenza inappellabile. Qui entra in gioco la passione per l’insegnamento e quella per l’apprendimento: tutti noi siamo liberi di imparare e di sperimentare, questo sostenevano con i fatti uomini eccezionali come San Giovanni Bosco e San Filippo Neri, ma anche altri spiriti illuminati quali Maria Montessori. La scuola deve essere un luogo di preparazione alla vita, ma abbiamo sentito questa frase così tante volte da svuotarla del suo vero significato; la cultura, ci insegnano i grandi pedagogisti, è la lente attraverso cui vedere il mondo in cui viviamo ogni giorno, è la pienezza dell’esistenza oltre agli affetti. Non si impartiscono lezioni piene solo di nozioni, ma anche di amore per queste. Tale sentimento possono ispirarlo solo insegnanti motivati che, attraverso il loro lavoro, formano le nuove generazioni, plasmando il futuro delle nazioni. Per questo San Giovanni ha ragione ancora adesso: la sapienza è un divertimento (molto serio, aggiungiamo), è il gioco della vita a cui nessuno può sottrarsi una volta al mondo.

Francesca Rossi

 

Per saperne di più

Benazzi Natale, “San Giovanni Bosco. Il sogno dell’educazione”, San Paolo Edizioni, 2015;

Chiavarino Luigi, “Don Bosco che ride. I fioretti di san Giovanni Bosco”, San Paolo Edizioni, 2015;

Bassignana Enrico, Carpignano Norma, “La Sindone e don Bosco. Storia e luoghi di due testimoni dell’amore”, Elledici, 2015;

Accornero Giuseppe, “Testimoni di un amore più grande. La Sindone, don Bosco e Papa Francesco”, Edizioni Mille, 2015;

Cistellini Antonio, “San Filippo Neri. Breve storia di una grande vita”, Edizioni San Paolo, 2010;

Maynard, Theodore, “Il buffone di Dio. Vita di san Filippo Neri”, Marietti, 2011;

Montessori Maria, “Educare alla libertà”, Mondadori, 2008;

Honeger Fresco Grazia, “Maria Montessori. Una storia attuale”, L’Ancora del Mediterraneo, 2008;

www.provincia.torino.gov.it/cultura

www.donboscoitalia.it

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