Sergio Leone: i film, i miti d’America e il western all’italiana

La recensione della mostra su Sergio Leone “C’era una volta in Italia” – Museo Nazionale del Cinema di Torino, dal 22 ottobre 2014 al 6 gennaio 2015

Museo Nazionale del Cinema di TorinoNon poteva essere scelta sede migliore per la mostra “C’era una volta in Italia. Il cinema di Sergio Leone”. Un percorso fatto d’immagini e parole che si sviluppa su una rampa elicoidale forse proprio per ricalcare la dura e non sempre facile carriera del regista e sceneggiatore romano, cominciata con una lunga e intensa gavetta… come quelle che si facevano una volta, quando il fare valeva più di sterili nozioni. La sede della mostra è il Museo Nazionale del Cinema di Torino, ubicato all’interno della Mole Antonelliana. In questo scrigno ci avventuriamo nella favola della settima arte, dove finzione e realtà entrano in simbiosi consentendoci di ripercorrere la storia del cinema e di approfondire i vari generi attraverso spezzoni di film, fotografie e set. Nel Museo si possono inoltre ammirare congegni e macchine teatrali che hanno posto le basi alla nascita del cinematografo. Questi ambienti, dal 22 ottobre 2014 e fino al 6 gennaio 2015, ospitano 180 pezzi tra manifesti, locandine, costumi e immagini che ripercorrono la cinematografia di Sergio Leone.

Sergio Leone

La mostra – curata da Christopher Frayling, con Lorenzo Codelli, e organizzata dal Museo Nazionale del Cinema con l’ausilio della Cineteca di Bologna – nasce e si sviluppa dall’esposizione di Los Angeles. In particolare, l’evento di Torino vuole rispondere ad alcune domande essenziali sul lavoro di Sergio Leone. Ci si chiede innanzitutto perché il regista romano sia stato così tanto affascinato dall’America e dai suoi miti da trascurare completamente l’Italia e Roma.

Sergio Leone mostra

Il curatore di “C’era una volta in Italia. Il cinema di Sergio Leone” , Christopher Frayling, è uno dei massimi studiosi dell’opera di Leone, sulla quale egli ha scritto diversi libri, andando a cogliere il senso profondo del cinema di colui che ha dato il via agli spaghetti western. Frayling è stato da subito un estimatore delle pellicole di Leone, già da quando i maggiori critici anglosassoni non facevano altro che disprezzare e sminuire quei film, considerati «tentativi di sterile emulazione a freddo», privi di radici e ossessionati dai dollari americani.

In realtà il cineasta di Trastevere, nato nella capitale nel 1929, guardava lontano forse proprio perché, sostiene Christopher Frayling, «con il western il regista italiano stava compiendo un progetto analogo a quello degli artisti pop dell’epoca, impegnati a prelevare immagini della cultura popolare americana per rielaborarle e trasporle». Leone, però, non aveva mai visto l’America, come faceva a carpire il senso profondo di quella cultura così lontana? Sicuramente tramite i libri e i film banditi dal fascismo e soprattutto grazie a un incontro che rimase nella sua memoria. Sergio aveva solo quattordici anni quando incontrò un gruppo di militari americani in jeep venuti «a liberare l’Italia». In quei soldati il ragazzo, cresciuto a pane e cinematografo, non ritrovò nulla delle grandi praterie e dei semidei della sua infanzia, cioè degli americani del Far West. Tanti anni dopo, a seguito de “Il colosso di Rodi”, Sergio Leone propose quel mito rielaborato e riadattato in “Per un pugno di dollari” (1964), creando così la sua prima vera favola per adulti, in cui – sottolinea Frayling – ideò «una miscela di primi piani esasperati e spettacolo esagerati», facendo di Clint Eastwood una superstar europea.

film western

Cominciò così anche il sodalizio con Ennio Morricone, suo compagno di classe alle elementari. Occhi severi, paesaggi magici quanto desolanti, una rivoltella sempre pronta, da sfoggiare all’occorrenza senza alcuna difficoltà, uno straniero un po’ rivoluzionario che vuole fare giustizia in una realtà dove non esiste giustizia, donne trattate a volte come oggetti: il western all’italiana è servito. Da “Un pugno di dollari”, passando per “Qualche dollaro in più” (1965), fino a “Il buono, il brutto, il cattivo” (1966) Sergio Leone conquistò il botteghino risollevando le sorti del cinema italiano che era sull’orlo del collasso. La mostra si sofferma non solo sulla “Trilogia del dollaro” ma ci porta per mano anche nel magico mondo della “Trilogia del tempo” con “C’era una volta il West” (1968), “Giù la testa” (1971) e “C’era una volta in America” (1984), senza dimenticare inoltre “Il mio nome è nessuno” (1973) con Terence Hill ed Henry Fonda. Il fim fu diretto da Tonino Valeri e fu prodotto da Sergio Leone.

Lint eastwood

“C’era una volta in Italia”, dunque, ci vuol far addentrare nell’opera di questo importante cineasta, deceduto nella sua città natia il 30 aprile 1989 a causa di un infarto. Sergio Leone ha lasciato una grande eredità a breve, medio e lungo termine. Subito dopo l’uscita di  “Per un pugno di dollari”,  in Italia furono girati, tra il 1966 e il 1972, 352 western. Per realizzare le sue favolose pellicole, Leone si avvalse anche del cospicuo patrimonio letterario italiano ed europeo (non solo americano).  E… oggi (purtroppo più di ieri) il nome del regista italiano è leggenda, da cui il cinema mondiale trae ispirazione.

Maria Ianniciello

Per info sulla mostra: http://www.museocinema.it/

Per approfondimenti: Christopher Frayling, “C’era una volta in Italia. Il cinema di Sergio Leone” (Cineteca Bologna, euro 29)

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