Andrew Wyeth, un grande artista in una mostra diversa

   Saranno appena un paio le sue opere in mostra, ma molta gente verrà in Italia da lontano per vederle esposte tra qualche mese finalmente a un largo pubblico. Lo statunitense Andrew Wyeth (1917-2009) è infatti pressoché sconosciuto perché, appena passata l’euforia per l’arte astratta, quasi tutti i suoi lavori hanno raggiunto valori da capogiro e sono finiti nelle mani di collezionisti gelosissimi, restii a prestarle. Sentono quell’artista così interno al mondo mentale americano da essersene appropriati in esclusiva e difficilmente consentono che venga indicato il loro nome. Per anni un collezionista californiano non ha voluto mandarmi la foto di un dipinto in suo possesso, pur sapendo che mi serviva per ragioni di studio. L’ha fatto, come un dono tra mille raccomandazioni, adesso che gli ho detto della Mostra che si aprirà qui da noi in Europa nella Basilica Palladiana di Vicenza la sera del prossimo Natale. L’occasione è dunque unica, e val la pena di segnalarla in tempo ai lettori di Cultura&Culture. Ma se è lo studio preparatorio della Mostra a suggerirmi di parlare qui di Wyeth, più ancora mi invita a farlo quella foto regalatami col patto di non pubblicarla. Non la pubblico, dico solo che il dipinto raffigura un ramo d’albero in primo piano. Niente di che? Tutt’altro! Un soggetto dice sempre poco se non si conosce il mondo culturale e psicologico dell’autore e se non se ne sa leggere la forma espressiva. L’arte sta tutta lì.

            Andrew Wyeth piace negli USA per il realismo con cui ha restituito in pittura i paesaggi, gli interni, le persone, la vita rurale dell’America, in particolare della Pennsylvania e del Maine dove ha vissuto. A me piace per i suoi romantici sottintesi, per gli spazi silenziosi, per i dettagli. Il suo dipinto più fotografato è Il mondo di Cristina, una ragazza morbidamente distesa sull’erba a guardare un paesaggio solitario. Vista di spalle, coinvolge nel suo piacere giovanile al punto da farci desiderare di distenderci accanto a lei, rapiti nell’incanto della natura. Ed è così che l’artista ci sottrae alla malinconia nel notare che la ragazza non può alzarsi, è poliomielitica, paralizzata dalla vita in giù. Analogamente, ha più volte ritratto la modella Helga Testorf non per raccontarcene il viso, il corpo, ma per comunicare in che modo l’ispirazione porta un artista al di là della realtà, in un universo sconosciuto: il tema vero del dipinto è l’autore piuttosto che la modella, sempre chiusa nei suoi pensieri, un semplice pretesto. Wyeth ha dipinto esterni luminosi e scorci di interni in penombra, paesaggi pressoché spopolati e brani minimi di natura, servendosi di colori attenuati, chiarori lunari quasi di ghiaccio, neri profondi. Un mondo dai mille segreti, difficile da penetrare. Chi infatti limita l’attenzione ai singoli soggetti    – talvolta è accaduto di fronte ai nudi di Helga –     non vede altro che elementi marginali, per esempio una modella legata ad un artista felicemente sposato.

   Non ho ancora notizia completa delle numerose opere, anche di archeologia, che saranno esposte a Vicenza dal 24 dicembre 2014 al 2 giugno 2015. La Mostra s’intitolerà Tutankhamon Caravaggio Van Gogh. La sera e i notturni dagli egizi al Novecento. Presenterà sculture note di volti impassibili, oggetti inediti, visioni di tramonti in oscuramento, di ombre notturne che si perdono all’alba, lavori di epoche distanti tra loro in ogni senso, capaci tuttavia di suscitare emozioni profonde, forse anche paure ancestrali. Soprattutto proporrà confronti apparentemente impossibili tra artisti mai accostati tra loro. Sono convinto che uno di essi diventerà protagonista inaspettato: Andrew Wyeth, uno dei più grandi pittori americani dei nostri tempi.

                                                                             ELIO GALASSO

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