C’era una volta in America di Sergio Leone

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C’era una volta in America: recensione del film di Sergio Leone

Diceva sempre che con i western avrebbe chiuso, Sergio Leone, dopo aver diretto nel 1968 “C’era una volta il West”, una delle pietre miliari più celebrate dell’epopea di banditi e pistoleri. Ma nel 1971 uscì “Giù la testa”, che della mitologia di frontiera accentuò il tono melodrammatico.

Gli ci vollero invece più di dieci anni per realizzare il suo progetto più ambizioso, C’era una volta in America, opera omnia che racchiude, attraverso le note vicende dei gangster Noodles e Max, quarant’anni di storia americana, dal ghetto ebraico al proibizionismo anni ’20, fino al tramonto dell’oscurantismo proibizionista.

La narrazione di C’era una volta in America, spezzata da continui flashback e flash forward, copre la gran parte dell’esistenza di Noodles (Robert De Niro) e Max (James Woods), due inseparabili compagni di furti e sparatorie che, cresciuti nel violento quartiere ebraico di New York nel Lower East Side, diventano complici, alleati e poi acerrimi rivali quando il primo, afflitto da nostalgie e insoddisfazione torna a New York sospinto dai ricordi, mentre il secondo è divenuto uomo influente nella politica americana.

C'era una volta in America recensione

Il capolavoro di Sergio Leone, uscito sul grande schermo nel 1984 e presentato fuori concorso alla 37esima edizione del Festival di Cannes, è una vibrante e poetica summa del suo cinema che racconta il mito americano riflettendo sull’universalità del tempo e della memoria.

Ispirato dall’autobiografia romanzata di Harry Grey (pseudonimo del vero gangster David Aaronson), “The Hoods”, Leone recluta un cast di prim’ordine in cui spiccano per finezza recitativa Robert De Niro, James Woods ed Elizabeth McGovern. Il regista romano sviluppa, sulle note della colonna sonora di Ennio Morricone, una narrazione labirintica che intesse storie memorabili sul filo dei ricordi, come una recherche proustiana che proietta lo spettatore tra passato, presente e futuro.

Un’opera monumentale…

C’era una volta in America non è solo il “Godfather” di Sergio Leone, quanto l’opera monumentale che racchiude tutto il suo cinema fatto di riflessioni sul tempo perduto dell’adolescenza e dell’età adulta, sulla memoria e la mitologia a stelle e strisce; è un’opera letteraria dal sapore proustiano che si delinea come ciclico stream of consciousness attraversato dal realismo del gangster movie e dalla potenza drammaturgica del romanzo di formazione.

Terzo capitolo della trilogia del Tempo iniziata con “C’era una volta il West” e proseguita con “Giù la testa”, si configura come “fabula” dall’ordito non lineare, parabola tragica e struggente sull’eterno ritorno di una coscienza obnubilata, quella di Noodles, criminale insoddisfatto a cui la vita ha negato tutto, soprattutto l’amore di Deborah (la giovane Jennifer Connelly e l’adulta Elizabeth McGovern) rincorsa, con la forza del ricordo, tra le diverse tappe della sua esistenza dissoluta.

Dall’altra pare della barricata ci sono Max, fraterno amico e poi feroce antagonista e gli altri criminali della gang, Patsy e Cockeye. Tra violenza, momenti di puro lirismo e sontuose scene madri da manuale del cinema, “C’era una volta in America” travalica ogni genere d’appartenenza, dal noir esistenzialista al canonico gangster movie, collocandosi tra i migliori prodotti storico-culturali del ventesimo secolo. (di Vincenzo Palermo)

Colonna sonora di Ennio Morricone: http://youtu.be/o1I_GsmeaQk

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