Giorgio de Chirico e il catalogo generale tra falsi e autenticazioni

Un’opera profonda e scrupolosa, di quelle che solo chi sa di essere il pictor optimus può arrivare a oggettivare; uno sguardo taciturno e meditativo; una vita privata che, nella sua più banale quotidianità, invade perennemente la sua ricerca.

Un mondo, il suo, che è soggetto a continue rifrazioni fra l’intelletto e la truffa.

A oggi il numero di opere realizzate da Giorgio de Chirico è stimato in 5000 capolavori tra quadri e disegni e, a circa 27 anni dall’ultima pubblicazione (introvabile) di Claudio Bruni Sakraischik di un Catalogo generale contenente qualcosa come 2600 opere autenticate e una ricerca che ha prodotto un importante archivio fotografico e documentario relativo all’opera del Maestro, la Maretti Editore pubblica un nuovo Catalogo generale in quattro volumi la cui uscita cadenzata si completerà alla fine del 2015.

Il dato interessante del primo volume sta nel fatto che nelle 450 opere autenticate dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico ci siano 160 inediti.
Nel primo volume, inoltre, troviamo un resoconto delle attività della Fondazione e una presentazione del presidente della stessa, Paolo Picozza, insieme a un saggio di Claudio Strinati, una biografia dell’artista e un fascicolo bibliografico allegato, nel quale sono riportate le principali monografie e mostre del Maestro insieme alle riviste e ai cataloghi d’asta riguardanti le opere pubblicate.

Questa pubblicazione nasce perché la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, che custodisce un patrimonio di 550 pezzi e gestisce la casa museo a Trinità dei Monti, ha intenzione di catalogare risolutivamente le opere autentiche dell’artista, arginando il più possibile il fenomeno dei falsi che ha sempre perseguitato l’opera del Maestro, e mettendo finalmente ordine in una delle produzioni più controverse della storia dell’arte.

Difatti, di de Chirico sono note la sua ricerca e la sua fama, ma lo sono altrettanto le contraffazioni, le tele retrodatate e una serie di episodi alquanto bizzarri relativi alle non attribuzioni da parte del Maestro stesso.

È noto che la Metafisica, di cui de Chirico è caposcuola, vive almeno due fasi storiche legate dal fatto che nel 1917 l’artista, dopo una parentesi francese, torna in Italia per via dei suoi obblighi di carattere bellico, lasciando una Parigi che vede la diffusione del lessico cubista e che di lì a poco sarà anche orfana di Guillaume Apollinaire e vivida del fermento artistico di un giovane e ideologico André Breton.

Durante la Grande Guerra e all’ospedale militare di Ferrara, conosce Carlo Carrà e Filippo De Pisis che ne saranno influenzati a tal punto da instillare a loro volta lo spirito metafisico anche in altri pittori dell’epoca come Giorgio Morandi.

Se la prima fase, autorevolmente d’avanguardia, ci fa individuare gli spunti dadaisti e surrealisti circoscrivendo il periodo che va dal 1911 al 1917, la seconda prevede la sistematizzazione degli aspetti teorici e tradizionali della scuola metafisica, dando vita a sonore polemiche e incisive competizioni. La sua evoluzione e la successiva esasperazione sono nutrite da un sentimento di rivalità che ha la necessità di affermare l’unicità e l’indipendenza intellettuale del pittore greco.

Perché la sua opera è tra quelle più falsate in assoluto?

Le dinamiche della storia dell’arte – si sa – sono intrise di coincidenze personali o momenti decisivi e l’aneddotica a volte permette di approfondire le motivazioni di alcuni sviluppi cruciali.
Le opere che l’artista aveva realizzato nel secondo decennio del Novecento a Parigi, raggiungono quote altissime negli anni a seguire e quando la Metafisica si “stabilizza” nella sua ricerca, l’attenzione per de Chirico riparte proprio dal mercato. Siamo alla fine degli anni Trenta e a più voci si riporta che la Galleria Il Milione di Milano ha deciso di pubblicare un catalogo dell’opera dell’artista. All’epoca, la riproduzione a colori veniva realizzata partendo da una stampa in bianco e nero e facendo, poi, una ripresa manuale con i toni fedeli al quadro.

In quell’occasione de Chirico si accorge di non disporre più dei quadri, poiché le opere che gli avevano dato la fama sono state lasciate, diffuse e vendute in Francia. Di qui la decisione pragmatica non solo di rifare i suoi capolavori, ma anche di retrodatarli, in una sorta di riscatto nei confronti del mercato che gli fa compiere un balzo all’indietro di circa vent’anni.

Chiaramente de Chirico non si limita a percorrere il cammino sterile dell’“autocontraffazione” ma lavora al dispiegamento di due strade che, suo malgrado, ne daranno il via a una terza:
la prima, relativa alle tele retrodatate realizzate anche per via della frustrazione di essere riconosciuto per una ricerca che non gli apparteneva più in quanto tale, e nate quasi per dispetto e per confondere il mercato parigino che vendeva i suoi capolavori a prezzi altissimi; la seconda basata sull’autentica evoluzione della sua ricerca che interessava lui per primo e che solo in pochi riconoscevano (tra questi il suo rinomato mercante d’arte Alexander Iolas); la terza (inevitabile) che vede il proliferare di falsi di ogni foggia.

Cercare di analizzare la sua opera e tentare di leggere nella sua composizione è apparentemente semplice: architetture, linee ferroviarie, squadre, scatole, sculture, guanti, tavole anatomiche, manichini; e poi poltrone, quadri sul cavalletto e tutto quanto possa far oggettivamente parte di una cultura stratificata e cosmopolita che incide sul profilo di un greco, figlio di italiani che gira l’Europa e dipinge gli indizi di un’intima biografia.

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L’Énigme d’un après-midi d’automne. 1910

Eppure la semplicità denotativa genera una visione altra che valica le logiche della rappresentazione formale eludendo la relazione comune tra gli oggetti, volutamente sconvolti nelle loro scale di misura. Le forme geometriche della Metafisica dechirichiana si dispongono negli spazi prospettici sempre più impraticabili delle Piazze d’Italia; le ombre lunghe, i colori e le forme innaturali, le nature morte, le composizioni, la pittura classica, il mondo greco si mescolano in un cocktail dialogico tra i suoi luoghi d’infanzia e quelli della maturità (Monaco di Baviera, Parigi, Roma), riportando alla mente le sue affinità elettive con il simbolismo di Arnold Böcklin e il pensiero filosofico di Shopenhauer e Nietzsche. Proprio nella sua Metafisica troviamo l’idea della ciclicità del tempo, del viaggio, della malattia tradotte in una pittura che va oltre la rivoluzione formale delle avanguardie, e crea un’atmosfera di mistero inquietante, dettata da una linearità strutturale che si estranea dalle logiche lineari del tempo e dalla naturale evoluzione che l’arte subirà in quei decenni.

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Ettore e Andromaca. 1917

Nonostante le inattendibili attribuzioni filosofiche e altre improprie relative alla paternità delle opere di dubbia provenienza, i suoi soggetti, il suo vigore cromatico, la sua memoria, restano il varco per un resoconto esistenziale esclusivo che elude categoricamente gli aspetti onirici dei Surrealisti e attinge alla realtà più profonda della sua coscienza arrivando a creare un fumo complesso che sarà la linfa stessa della Metafisica.
E se la sua opera è considerata tra quelle più falsate della storia dell’arte, lui è tra i pochi artisti che siano stati in grado di veicolare l’immaginario collettivo degli ultimi 100 anni.

Il primo volume Giorgio de Chirico – Catalogo generale – Opere dal 1912 al 1976 è acquistabile anche sul sito della Maretti Editore.

Livia Paola Di Chiara

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