Istituto Luce, novant’anni di storia in mostra a Roma

Impressionante. Il termine che più spesso viene in mente durante la visita a questa mostra è proprio questo: impressionante! Per la quantità, la qualità, la varietà dei filmati proiettati. Per come è stata concepita una tale meraviglia, piccola parte di un patrimonio di inestimabile valore quale può essere la conservazione della memoria di un popolo in un secolo di storia. Per la bellezza dell’allestimento e del luogo che lo ospita. Gli archivi dell’Istituto LUCE (L’Unione Cinematografica Educativa), in occasione dei 90 anni dalla sua fondazione avvenuta nel 1924, aprono le porte al pubblico in quella che non può e non deve rimanere solo un’occasione provvisoria, ma museo permanente. Decidano il luogo, ma non si può occultare una tale quantità di documentazione (video e foto), pregio italiano da conservare gelosamente e divulgare alle nuove generazioni. Già, guarda caso proprio uno dei primi intenti del LUCE alla sua nascita, quello di far conoscere, di istruire. Una storia d’Italia nel novecento, quella che possiamo ammirare nei suggestivi locali del Complesso del Vittoriano a Roma, dal 4 luglio al 21 settembre. Un’Italia che sembra lontanissima da quella attuale, eppure ne è la madre, e noi ne siamo i diretti discendenti. Concepita come un percorso organizzato seguendo parole simbolo e immagini che trasportano il visitatore dagli anni 20 a oggi, la mostra ci accoglie con grandi fotografie e filmati sin da subito, svelandoci un’Italia essenzialmente rurale, povera, che si apre lentamente al mondo proprio grazie ai documentari del LUCE. Vere lezioni filmate, documentari trasmessi nei “cinematografi” per far conoscere altre città del Paese, impensabile allora, quando non esisteva il turismo di massa, le scoperte scientifiche (i microbi visti per la prima volta al microscopio), le prime modernità.

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Nei centri rurali dove non esistevano le sale cinematografiche, il LUCE attrezzò una piccola flotta di “cinemobili”, camioncini attrezzati per le proiezioni e che, ancora nel 1936, percorrevano 20.000 chilometri l’anno. L’emergente regime fascista capì subito l’importanza delle immagini filmate. Gran parte della mostra ce lo testimonia. Tra i tanti video, perfettamente conservati, una rarità: un breve filmato di Mussolini del 1927, in primo piano (film della Fox) in un discorso in lingua inglese rivolto agli italiani d’America, che è anche il documento filmato del primo uomo politico al mondo (non americano) a far sentire la sua voce al cinema. L’attività del LUCE continua tra informazione e propaganda politica, e l’organizzazione della mostra ce lo testimonia chiaramente, con sezioni ben illustrate da immagini chiave e brevi panneli di testo a supporto dei filmati sempre più numerosi man mano che si procede. Una continua altalena tra società arcaica e modernità. Nasce nel 1927 il “giornale Luce”, trasmesso (obbligatoriamente) nei cinema, antesignano degli attuali telegiornali, con servizi di vario genere, di certo non con taglio giornalistico. Spazi dedicati al Duce, al Re, allo sport, alle curiosità dal mondo, dove spesso le notizie provenienti dalle altre nazioni erano tese a mettere in ridicolo gli altri popoli.

Colpisce, a tal proposito, un documentario su un corso per accudire i neonati americani, approntato per gli uomini, che la voce pomposa e schernente del nostro commentatore liquida con un perentorio “evidentemente le troppo emancipate donne americane non sono in grado…”. Nei lunghissimi corridoi prosegue la storia e si ha la possibilità di comprendere il titolo di questa esposizione. Un’Italia come ce l’hanno voluta raccontare, un immaginario appunto, una storia spesso retorica e basata su miti di cartapesta, basti vedere i documentari di propaganda politica, ma che ha creato in ognuno di noi una realtà tutta nostra e continua a crearla ancora oggi. Nella terza sezione, dedicata al decennale dal 1932, possiamo ammirare un vero exploit delle immagini di regime, volte al consolidamento del consenso. In quegli anni, nel 37, nasce il Minculpop (Ministero per la Cultura Popolare) e si inasprisce la morsa della censura che arriverà a dettare 15 disposizioni giornaliere all’Istituto sul taglio da dare alle notizie. Nel 1931 arriva il sonoro in presa diretta e i documentari acquistano più forza. Tanti i filmati, da quelli sulle grandi opere urbanistiche a Roma, Milano, Torino, alla fondazione di nuove cittadine come Sabaudia nell’agosto del 33, dal documentario (inquietante ma bello nel suo genere) sulla “scuola fascista”, alle immagini sui primi corsi di trucco cinematografico a Cinecittà. Ma anche la cronaca, come il varo del transatlantico Rex o la visita di Ghandi a Roma. Tutto, mentre si corre verso la rovina della guerra. Cambia l’atmosfera nei locali della mostra, ora vediamo i film sui bombardamenti, lo scempio dell’Abbazia di Monte Cassino e possiamo capire, grazie a delle fotografie dal fronte scartate dalla censura del regime, l’immagine che si vuole offrire alla popolazione. Tutto doveva apparire “degno di orgoglio”, le stragi della guerra non si vedranno mai. Di lì a poco la situazione precipiterà e le cineprese del LUCE continueranno a raccontare lo sbarco degli Alleati, la guerra civile, le rappresaglie. Tutto visibile sulle pareti che sembrano non finire mai, filmati davvero toccanti, intervallati da fotografie altrettanto eloquenti, in una sequela che ammalia e stordisce. Ecco, se una pecca c’è in questo evento, è nella diffusione audio dei filmati: troppi (paradosso) e troppo ravvicinati, tali da mescolare inevitabilmente i relativi sonori, il che alla lunga infastidisce. Se si risolvesse questo inconveniente, saremmo alla perfezione.

Il dopoguerra, la ricostruzione, i finanziamenti del Piano Marshall e i video documenti sull’imminente boom economico e su una nuova stagione di ottimismo, ci accompagnano fino alle Olimpiadi del 1960 a Roma e a una gigantesca sala in cui troneggiano quattro schermi alti sei metri, che trasmettono forme e colori dei filmati di repertorio, in un gioco ottico e cromatico che sospende il tempo in un attimo magico, quasi fantascientifico.

Nel piano superiore della mostra, la storia e la parallela costruzione dell’immaginario prosegue lasciando il passo allo spettacolo, al cinema in particolare, con centinaia di grandi foto dei nuovi divi, italiani e stranieri, il mito di Cinecittà, grazie al quale dagli anni 50 fino alla metà dei 60, Roma è la “Hollywood sul Tevere”. L’Istituto Luce punta forte sul cinema in quegli anni, documentandone la crescita costante e, nell’ambito che stiamo visitando, trasmettendo tre bellissimi documentari su altrettanti schermi giganti dotati di monocuffie per l’ascolto, dal titolo “Ciack si gira”, “Arrivano i divi” e “Il festival di Venezia”. Insomma, la prima grande mostra di uno dei più grandi archivi europei sottrae all’oblio, da cui per troppi anni erano stati inghiottiti, i nostri ricordi. Più di 5000 ore di filmati e 500.000 fotografie (dei tre milioni in suo possesso) sono online sul sito www.archivioluce.com e grazie a un accordo con Google, 30.000 video potranno essere visti sulla piattaforma youtube.com/cinecittaluce. Una storia che prosegue, grazie ai curatori di questa prestigiosa mostra (Gabriele D’Autilia e Roland Sejko) e, finalmente, alla decisione di internazionalizzarla con esposizioni previste, nel biennio 2016-2018, anche in Francia e Germania. La memoria storica di un popolo va preservata e salvata, sempre. L’inizio è incoraggiante e da non perdere per nessuna ragione. Questa mostra è un gioiello da godere, un valore inestimabile, un vanto per un Paese in difficoltà. La conoscenza delle proprie radici è il primo passo per poter sperare di risalire la china.

Paolo Leone

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