Il Rameau di Silvio Orlando, la recensione dello spettacolo

Il nipote di Rameau
Un momento dello spettacolo

 

Mondo era e mondo è. Penso mentre esco dalla sala del Teatro Carlo Gesualdo di Avellino, dove è stato allestito, il 22 gennaio scorso nell’ambito della rassegna “Teatro Civile”, Il Nipote di Rameau, capolavoro satirico di Denis Diderot, uno dei massimi filosofi del 1700. Sul palcoscenico del Teatro irpino c’era Silvio Orlando, nella parte di Rameau. In scena con l’attore partenopeo c’erano Amerigo Fontani, nei panni di Diderot, e Maria Laura Rondanini, nel ruoto della cameriera. Siamo a Parigi. Le luci si alzano su Fontani che comincia il suo appassionante monologo.

«Che faccia bello o brutto tempo, è mia abitudine andare, verso le cinque di sera, a passeggio nei giardini del Palazzo reale […]», racconta, «[…] Un pomeriggio mi trovavo là, tutto intento a guardare, parlando poco e ascoltando il meno possibile, quando mi si avvicinò uno dei personaggi più bizzarri di questo Paese al quale Iddio non ne ha fatti mancare […]».

Il personaggio bizzarro era Rameau, un uomo caduto in disgrazia, un parassita della società, amante del vizio e del servilismo. Nipote del celebre musicista Jean-Philippe Rameau, l’uomo vive con il figlio in una misera soffitta dopo essere stato cacciato dal suo mecenate. Comincia così, tra il filosofo e il bizzarro personaggio, un dialogo sugli usi e sui costumi dell’epoca e più in generale dell’umanità. La chiacchierata, dai toni anche elevati e in alcuni momenti comici, mette in contrasto due visioni diametralmente opposte. Il primo difende i valori di onestà e rispetto del prossimo, inneggiando a una società dove la figura del genio e in particolare dell’intellettuale ha una grande importanza per il benessere della collettività.

Il nipote di Rameau
Un momento dello spettacolo

 

 

Il secondo invece è degno rappresentante di una realtà di accattoni che, pur di raggiungere lo scopo prefisso, cioè quello di avere più denaro, è disposto a mentire. Concetti come la verità e i buoni costumi rendono questa opera molto attuale. Che differenza passa tra verità e menzogna se poi tutti facciamo la stessa fine, anche il genio e il filosofo? Meglio mentire e vivere alla giornata, dunque, senza troppo impegno! Un dialogo che sembra crucciare Diderot, tanto che molti critici hanno visto in Rameau l’alter ego del filosofo che si interroga su questioni esistenziali parlando con la parte più istintiva, meno razionale, di se stesso. A rendere ancora più moderna questa satira sono anche le parole della cameriera che, nonostante sappia tutto di tutti, non appena il filosofo le dice: «E` morto Voltaire!», lei risponde: «E chi è Voltaire?». Non accade forse anche oggi la stessa cosa? Nei caffè, nelle pizzerie, nelle piazze e sui social network non si fanno tanti pettegolezzi, ma poi quando bisogna affrontare argomenti seri, magari di Cultura, pochi hanno qualcosa da dire? Silvio Orlando, che ha molto lavorato sui vizi e sulle virtù dell’uomo medio, porta con maestria a Teatro, nella duplice veste di attore e regista, una satira che fa ancora riflettere. Scritta, forse, nel 1762, la rappresentazione di Diderot non fu mai pubblicata, né ovviamente allestita, fino a quando non fu tradotta da Goethe nel 1808, anche se dobbiamo ringraziare George Monval per avercela fatta conoscere e apprezzare.

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