L’IMPORTANZA DELLA DIGNITA’ UMANA

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Sembra di essere sul set di “Jurassic Park” e invece ci troviamo in un laboratorio scientifico. Lo scienziato George Church, specializzato in genetica e professore ordinario ad Harvard, ha rilasciato un’intervista alla rivista tedesca “Der Spiegel” nella quale ha affermato di essere in grado di saper ricostruire il patrimonio genetico di un essere umano partendo semplicemente dal DNA di un fossile. Il suo più grande desiderio? La clonazione dell’uomo di Neanderthal. Il pioniere della biologia sintetica sta concentrando tutte le sue forze su questo particolare studio. Ma quanto c’è di giusto e quanto di sbagliato nel cercare di realizzare un simile sogno? Lo chiediamo a Lorenzo D’Avack, vicepresidente del Comitato Nazionale della Bioetica.

«Oramai siamo arrivati ai limiti della fantascienza – spiega D’Avack –. Viviamo in un mondo di grandi fantasie». Il vicepresidente del Comitato Nazionale della Bioetica sottolinea che «il vantaggio della scienza nel replicare un essere umano vissuto migliaia anni fa è incomprensibile» e aggiunge: «La clonazione di per sé, potrebbe essere giustificata sotto altri aspetti, attraverso strumenti differenti – continua -. Come per esempio  per curare l’infertilità di una coppia. Cercare di combattere la sterilità potrebbe essere considerato già un po’ più legittimo del riproporre un essere umano esistito più di 200mila anni fa».

Church ha motivato la sua voglia di clonazione spiegando che, se davvero riuscisse nell’impresa sarebbe possibile eliminare completamente tantissime malattie genetiche. Secondo lo scienziato britannico, la sua scoperta porterebbe anche al debellamento definitivo del cancro. «Il mondo etico e la cultura giuridica sono decisamente contrari a questa forma di clonazione riproduttiva.» sostiene il vicepresidente del Comitato Nazionale di Bioetico. «La riproduzione di un essere umano è una cosa assolutamente illecita e contraria alla dignità dell’uomo – afferma -. Tra le tante cose bisogna sempre rivendicare il diritto del nato alla sua naturale identità e diversità fisica. Ognuno di noi ha diritto alla casualità genetica: non dobbiamo mai dimenticare che nessuno deve essere privato di un patrimonio genetico derivante da due adulti di sesso diverso. Al primo posto, soprattutto in campo scientifico deve sempre esserci la tutela della vita ».

Per arrivare alla clonazione di un essere umano, ricorda ancora D’Avocka, «bisognerebbe passare attraverso una serie di sperimentazioni, così come è già avvenuto in passato per la pecora Dolly.».

A tutelare la dignità della vita e a bloccare la clonazione ci sono in questo momento tutti i protocolli internazionali: «La Convenzione di Oviedo ha dedicato un articolo appositamente a questo problema, vietando ogni intervento che abbia per scopo la creazione di un essere umano geneticamente identico a un altro, vivo o morto che sia. L’articolo 3 della Carta Fondamentale dell’Unione Europea si basa sull’integrità della persona – dichiara D’Avocka -.  in Italia inoltre, abbiamo la Legge 40 sulla fecondazione assistita. Notizie di questo tipo a mio avviso sono più a sfondo pubblicitario, le possibilità che si concretizzino sono poche. Io credo che queste siano proposte un po’ provocatorie: lasciano il tempo che trovano».

La vera ricerca, quindi, resta quella che migliora l’uomo senza doverlo clonare.  «Duplicare un rene partendo dalla cellula di un rene malato – dice -. Questa sarebbe una clonazione che nessuno condannerebbe. Gli organi sono un qualcosa di essenziale, non altro. In questo momento poi  ne abbiamo una grande carenza. Ovviamente tutto nel rispetto della vita».

Nonostante il dottor Church, continui ad affermare le sue idee, tutti i comitati etici nazionali e internazionali in questo momento restano quindi assolutamente contrari a questa pratica. «Sarebbe lesa la dignità umana, lesa la dignità del nascituro che viene al mondo non secondo dei criteri ordinari, ma straordinari – precisa -. Oltretutto mai dimenticare con quante difficoltà verrebbe al mondo questa creatura. La pecora Dolly era una pecora malata. Ciò che dobbiamo sempre ricordare non è il fatto che siano riusciti a farla nascere, ma quanto poco sia riuscita a vivere».

Maria Rosaria Piscitelli

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