GLIOBLASTOMA: IN UNA PROTEINA LA CURA?

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Si aprono nuove speranze per la cura del glioblastoma, il tumore celebrale più maligno e incurabile.

Un gruppo di ricercatori della StemGen SpA, società di biotecnologie di Milano, in collaborazione con l’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) Casa Sollievo della Sofferenza di Padre Pio, ha scoperto un meccanismo molecolare alla base della crescita esplosiva del tumore cerebrale più frequente nell’uomo, il Glioblastoma Multiforme (GBM), una forma tumorale inevitabilmente letale e incurabile, la cui incidenza è in continuo e preoccupante aumento.

Grazie a questo studio, il gruppo di ricercatori diretto da Angelo Vescovi e coordinato da Elena Binda, una giovane ricercatrice italiana, hanno anche identificato un bio-farmaco, (efrina A1), in grado di inibire la crescita del tumore umano infiltrato nel cervello del topo. Lo studio è di tipo chiaramente traslazionale (finalizzato allo sviluppo di terapie per l’uomo) ed è il risultato di una ricerca tutta italiana, che ha coordinato una rete di collaborazioni internazionali di altissimo profilo. Hanno, infatti, partecipato a questa iniziativa, oltre all’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, il Prof. Francesco Dimeco dell’IRCCS Carlo Besta di Milano, professore alla Università J. Hopkins di Baltimora, ma anche il Dipartimento di Neurologia del Policlinico Gemelli di Roma, la Weill Cornell Graduate School of Medical Sciences e il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York (USA), la University of Florida (USA) e il Sanford-Burnham Medical Research Institute, La Jolla, California (USA).

Le staminali tumorali del glioblastoma umano

La ricerca si è fondata su di una scoperta fatta inizialmente dal gruppo di Vescovi nel 2004, che dimostrava che, laddove il GBM è composto di miliardi di cellule, la grande maggioranza di queste non è in grado di far crescere indefinitamente il tumore o di rifondarlo dopo la terapia. Questa caratteristica è appannaggio esclusivo di una frazione minima delle cellule nella massa tumorale dei GBM, le quali sono vere e proprie cellule staminali tumorali. Le staminali tumorali sono letali non solo perché basta una sola di queste cellule per rigenerare un intero GBM, ma anche perché non perdono mai la capacità di replicarsi e sono intrinsecamente assai resistenti alla radio e chemioterapia. Le cellule staminali del GBM – rare e occultate in questi tumori – sono quindi il vero bersaglio da colpire per sviluppare una terapia davvero efficace per i GBM. Questo è in stridente contrasto con gli sforzi fatti nelle ultime decadi, mirati ad attaccare specificamente l’intera massa cellulare del tumore cerebrale per mezzo di sostanze tossiche, il che spiega, almeno in parte, la ragione per cui non è stata ancora identificata una terapia efficace nei confronti di questi tumori. Lo studio pubblicato da Cancer Cell introduce proprio questo cambio di paradigma, individuando il bersaglio terapeutico principale nelle cellule staminali tumorali del GBM umano, che sono state studiate grazie ad una tecnica esclusiva di StemGen e del gruppo di Vescovi, che permette di isolare, moltiplicare e manipolare ad libitum queste cellule, estraendole dal tumore dei pazienti. Questa ricerca dimostra che le cellule staminali tumorali cerebrali umane esprimono sulla propria superficie livelli abnormi di una proteina già presente nelle staminali normali del cervello, nota come recettore di tipo A2 delle efrine o EphA2. Si è quindi osservato come questa sovra-espressione di EphA2 determini un aumento incontrollato dell’auto-replicazione delle cellule staminali tumorali, causandone un enorme incremento in numero, che risulta nella crescita inarrestabile ed esplosiva, tipica dei GBM. A questo punto i ricercatori hanno dimostrato come questo fenomeno possa essere utilizzato, non solo per identificare le staminali del GBM – le quali passavano fino a ora “sotto i radar” poiché vi sono pochissimi marcatori che permettono di vederle e studiarle, ma fornisca anche un bersaglio specifico e selettivo per inibire la crescita del tumore nel cervello.

Infatti, grazie alla somministrazione intracerebrale in copie fedeli del vero tumore umano (riprodotte nei topi) di efrina A1, proteina naturalmente presente nel nostro cervello (quindi di minima tossicità), è possibile ridurre l’espressione del recettore EphA2 e limitare significativamente la capacità delle cellule staminali tumorali di replicarsi e di generare massa tumorale, inibendo la crescita del glioblastoma in vivo. Questo è stato ottenuto, peraltro, usando un metodo di somministrazione che mima quello da utilizzare nei pazienti e noto come convention enhanced delivery. L’efrina A1 emerge quindi come potenziale farmaco biologico, e promettente candidato per la terapia anticonvenzionale del Glioblastoma Multiforme.

StemGen è la start-up che ha realizzato la piattaforma per l’individuazione dell’efrina A1-Fc e sosterrà gli studi necessari a sviluppare protocolli clinici nell’uomo, sua missione principale. Infatti, la start-up bissa con questa ricerca il risultato ottenuto alla fine del 2006, quando le scoperte relative al primo biofarmaco anti-staminali di GBM umano, la proteina BMP4, venne pubblicata sulla rivista Nature. Uno studio che vedrà la richiesta di avviare la sperimentazione umana depositata alla fine del 2013. StemGen ha già verificato la possibilità di produrre queste ed altre proteine anti-tumore per uso clinico a costi comparabili con quelli delle altre terapie neuro-oncologiche.

 «Grazie a questo studio è ora possibile identificare nuovi bersagli molecolari e genetici fino ad oggi insospettati da colpire nel tentativo di fermare questo cancro incurabile – spiega Angelo Vescovi, direttore del gruppo di ricercatori -. Abbiamo anche un farmaco, un candidato promettente che interviene proprio sui recettori che stanno alla base del meccanismo di proliferazione tumorale. Desidero sottolineare però che è necessario essere prudenti: siamo ancora a livello di sperimentazione pre-clinica e, anche se abbiamo delle interessanti evidenze sul tessuto umano, solo la sperimentazione clinica sull’uomo potrà davvero confermare se abbiamo individuato una terapia vera e propria. Vorrei anche enfatizzare il ruolo importante della collaborazione tra start-up biotecnologiche come StemGen ed enti nazionali ed internazionali di ricerca accademica: un approccio che si è rivelato fruttuoso e che promette di velocizzare lo sviluppo di terapie sperimentali per patologie che restano incurabili e letali, come il glioblastoma umano, e che infatti sono classificate come ‘malattie orfane’ dagli organismi regolatori nazionali e internazionali, quali l’Istituto Superiore di Sanità o il National Institute of Health americano».


Il Glioblastoma Multiforme (GBM), nome più comune del Glioma di grado IV, è una forma di tumore al cervello altamente aggressiva e maligna, in grado di crescere rapidamente e di infiltrare vaste aree di tessuto cerebrale, sviluppandosi quasi sempre in forma letale. I gliomi rappresentano oggi il tipo di tumore cerebrale più comune nell’uomo. Tra questi, il glioblastoma multiforme è il più frequente e rappresenta circa il 30% di tutti i tumori cerebrali. Negli adulti colpisce prevalentemente i maschi in età tra i 50 e i 60 anni. Il glioblastoma multiforme non ha sedi assolutamente tipiche: può occupare più o meno estesamente un intero lobo (spesso frontale o temporale) o estendersi a più lobi, raggiungendo anche le strutture profonde ed invadendo anche l’emisfero opposto coinvolgendo il corpo calloso (glioblastomi a farfalla). L’efficacia dei trattamenti chirurgici, chemioterapici e radioterapici è piuttosto scarsa e, dopo la rimozione della massa tumorale primaria, la recidiva è spesso precoce.

 StemGen SpA

StemGen S.p.A. è una start-up fondata alla fine del 2005 presso l’incubatore del Dipartimento di Biotecnologia e Bioscienze dell’Università Bicocca di Milano. Si è dotata di un capitale di 8 milioni di euro, grazie a Business Angel internazionali (investitori che intervengono nelle primissime fasi di nascita di una start-up). StemGen è proprietaria della piattaforma tecnologica per studio delle cellule staminali tumorali e per l’individuazione di potenziali agenti in grado di depotenziane il ruolo cancerogeno.

 

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