SCENARIO TRAGICO A GAZA

Proseguono senza sosta le offensive e controffensive tra israeliani e palestinesi. La Striscia di Gaza è ormai notoriamente sede di continue guerriglie, ma razzi di fabbricazione iraniana si sono abbattuti anche in mare davanti a Tel Aviv e, successivamente, su villaggi situati alle porte di Gerusalemme, facendo presagire uno scenario tragico in Medioriente dove, per la prima volta dalla primavera araba, si respirano venti di guerra.

L’escalation di violenze, iniziata con l’omicidio mirato di Ahmed al-Jaabari, ex leader dell’ala militare di Hamas, secondo alcuni sarebbe un tentativo del premier israeliano Benjamin Netanyahu di riconquistare il consenso perduto, a due mesi e mezzo dalle elezioni politiche. Il primo ministro, indebolito dalla riconferma di Obama alla Casa Bianca, cercherebbe ora di mettere all’angolo i suoi avversari e fare pressione sull’Onu, che a fine mese sarà chiamato a votare per il riconoscimento della Palestina come Stato membro.

Le stagioni elettorali israeliane non sono nuove a escalation di violenza: nel 1996 c’è stata l’operazione “Grappoli d’ira” in Libano e nel 2008-2009 “Piombo Fuso” a Gaza. Ma ogni volta che Israele si è scagliato contro Hamas, lo ha in realtà rafforzato: i trionfi elettorali del gruppo islamico nel 2006, avvenuti dopo la decimazione della sua leadership politica, sono lì a dimostrarlo.

Delicatissima, in questa fase, la posizione dell’Egitto, stretto tra il trattato di pace con lo Stato ebraico e l’alleanza con le forze palestinesi. Mohamed Morsi, militante dei Fratelli musulmani e primo presidente liberamente eletto dell’Egitto, è ideologicamente affine a Hamas ma ha bisogno degli aiuti  economici degli Stati Uniti per contrastare la crisi. Una situazione non semplice per il presidente egiziano, che non può sbilanciarsi più di tanto.

La soluzione del conflitto, che dura da generazioni e si è intensificato negli ultimi 30 anni, potrebbe risiedere nel compromesso, anche se ciò costerebbe inevitabili rinunce a entrambe le parti coinvolte. Ma sia israeliani che palestinesi, manovrati a turno dagli interessi occidentali, hanno dimostrato di essere incapaci di trovare da soli un accordo. Netanyahu non è disposto ad accettare lo stato palestinese. Mahmoud Abbas, presidente palestinese, alla fine della sua carriera politica, sembra determinato a ottenere il riconoscimento puramente simbolico dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Altra verità è che, allo stato attuale, non esiste un mediatore internazionale disposto a rischiare in questo conflitto. Comunque vada, ci saranno sempre Paesi che vinceranno e altri che perderanno. Gli interessi in ballo sono molto alti, non solo per Israele e Palestina ma anche per le potenze occidentali che da sempre hanno giocato un ruolo chiave nel conflitto.

Piera Vincenti

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