I BAMBINI E I DIRITTI DI CITTADINANZA

© Hanna – Fotolia.com

La Giornata Mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza, celebratasi ieri con varie cerimonie e manifestazioni in tutta Italia, torna a far discutere su un tema attualissimo e troppo spesso sottovalutato, che riguarda la condizione dei bambini nati nel nostro Paese da genitori stranieri, che non possono acquisire la cittadinanza italiana in virtù di una precisa legge, la L.91 del 1992 (e successive modifiche/integrazioni), il cui principio fondamentale stabilisce la trasmissibilità della cittadinanza iure sanguinis, ovvero per nascita da padre o madre cittadini italiani o, in caso di minore età, per acquisto della cittadinanza italiana da parte di genitore convivente (Artt. 1 e 2). Le altre condizioni possono essere così riassunte: acquisto della cittadinanza per nascita sul territorio italiano (iure soli) limitato ad alcuni casi (se i genitori sono ignoti o apolidi o non possono trasmettere la propria cittadinanza al figlio secondo la legge dello Stato di provenienza o se il figlio di ignoti è trovato sul territorio della Repubblica e non venga provato il possesso di altra cittadinanza); concessione della cittadinanza italiana a cittadini stranieri coniugati con italiani e a cittadini stranieri residenti in Italia, a determinate condizioni (Artt. 4, 5 e 9); possibilità di mantenere la doppia cittadinanza (Art.11).

Una norma diventata ormai obsoleta che pone molti bambini e adolescenti nati in Italia da genitori stranieri in una condizione di non-appartenenza, che influisce negativamente sul processo di creazione identitaria, già di per sé non semplice e scontato. I bambini nati da coppie straniere, infatti, si trovano ad affrontare tre sfide molto complesse che riguardano la socializzazione biculturale, il bilinguismo e la scelta religiosa. Il territorio di negoziazione è molto vasto e, se da una parte la doppia identità è fonte di ricchezza e opportunità per conoscere e approfondire due culture diverse, dall’altra crea numerosi problemi ai ragazzi, che spesso possono incontrare difficoltà di inserimento nel Paese in cui vivono, se troppo ancorati alla cultura di origine, oppure sono costretti a rinunciare a una parte delle propria identità culturale per sentirsi maggiormente integrati.

La sfida, come si evince, è già di per sé molto complessa senza che intervengano le restrizioni legislative a creare ulteriori fonti di difficoltà ai ragazzi, figli di stranieri ma perfettamente inseriti nel tessuto sociale italiano. Scendendo sul piano pratico, i figli di immigrati che frequentano la scuola e hanno amici italiani, non possono partecipare alle gite scolastiche all’estero per via della complessa burocrazia riguardante i permessi di soggiorno, finiscono per vivere come stranieri nella propria terra dove, una volta maggiorenni, non possono prendere parte alla vita attiva del Paese, esprimendo il proprio voto e scegliendo i propri rappresentanti. Ma devono comunque pagare regolarmente le tasse, com’è giusto che sia. Pochi diritti, tanti obblighi. Doppiamente stranieri in quella che, per nascita e socializzazione, è la loro terra.

Il problema resta apertissimo. Numerose sono le iniziative di sensibilizzazione messe in campo dalle associazioni, come quella promossa dall’Unicef, che ha lasciato la campagna Io come tu al fine di ribadire il diritto alla non discriminazione dei bambini e degli adolescenti di origine straniera che vivono, studiano e crescono in Italia e promuovere il dialogo sui diritti di cittadinanza. Un dialogo a cui le istituzioni restano ancora sorde.

Piera Vincenti

Commenti

commenti

Lascia un commento

Torna in alto