ELECTION DAY, E LA CHIAMANO DEMOCRAZIA

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Il 6 novembre 2012 i cittadini americani si recheranno alle urne per votare il prossimo presidente degli Stati Uniti. Falso. Il sistema elettorale che porterà all’elezione di Mitt Romney o di Barack Obama infatti non è così semplice e diretto. Esso è una diretta conseguenza della struttura federale degli Usa ed è basato su collegi statali e maggioritari. Questo significa che i voti dei cittadini non finiscono virtualmente in una stessa urna, ma in 50 urne diverse, una per ogni Stato, e soprattutto non vanno a eleggere direttamente il presidente ma i cosiddetti grandi elettori, che a loro volta eleggeranno il candidato a cui sono collegati. Per questo, già da subito è possibile dire chi sarà il candidato eletto.

Questo sistema macchinoso e articolato affonda le sue origine storiche alla fine del ’700, quando fu redatta la Costituzione americana. Allora gli Stati Federati erano solo 13 e il sistema funzionava bene, oggi è tutto molto più complicato. Il sistema del Collegio elettorale si basa sull’idea che l’elettore, esprimendo il suo voto, in realtà non elegge il candidato ma una serie di grandi elettori, a lui collegati, che lo voteranno per la Casa Bianca in un secondo momento. L’elezione del presidente degli Stati Uniti è quindi indiretta.

I grandi elettori sono 538, di cui 535 eletti nei singoli stati in numero proporzionale alla popolazione, che corrisponde alla somma dei deputati e senatori che rappresentano lo stato al Congresso (in totale 100 senatori e 435 deputati). Per l’elezione presidenziale viene creato Washington D.C., quasi un 51° stato che ha diritto a tre grandi elettori. Per essere eletti servono 270 grandi elettori, ovvero la metà più uno di 538.

I voti elettorali vengono assegnati all’interno di ciascun stato con un sistema maggioritario secco, che viene definito il winner takes all, ovvero il vincitore si aggiudica l’intero stato anche se con uno scarto minimo di voti. L’eccezione è rappresentata da Nebraska e Maine, gli unici due stati che assegnano i loro voti elettorali con il sistema proporzionale. Il loro peso, tuttavia, è esiguo avendo i due stati rispettivamente cinque e quattro voti ciascuno.

Durante la campagna elettorale i due candidati non si concentrano su quegli stati che tradizionalmente votano sempre per lo stesso partito (ad esempio la California e New York per i democratici, il Texas per i repubblicani) ma rivolgono tutta la loro attenzione sugli swing state, gli stati in cui il risultato elettorale rimane in bilico fino alla fine, come la Florida e l’Ohio che, avendo un numero elevatissimo di grandi elettori, possono decidere le sorti delle elezioni a favore dell’uno o dell’altra candidato.

Ma non finisce qui. Il sistema elettorale americano è completamente diverso da quello europeo anche per un’altra questione, ancora più fondamentale. In Europa, ad esempio, per avere diritto al voto basta essere maggiorenni, negli Stati Uniti, invece, possono votare solo colore che sono iscritti alle liste elettorali. Per iscriversi, i cittadini devono dichiarare l’appartenenza politica: democratico, repubblicano o indipendente. Già questo sembra in parte minare la segretezza del voto. Inoltre, le liste vengono controllate da commissioni statali che hanno la facoltà di cancellare le persone non idonee, spesso appartenenti alle fasce più deboli e povere della popolazione, soprattutto neri e ispanici. Questo è uno dei motivi per cui la questione razziale assume un’importanza fondamentale per i due candidati alla Casa Bianca. Il voto, a questo punto, è abbastanza controllabile e manipolabile. Nel 2000, ad esempio, in occasione della discussa prima elezione di Bush junior, la Florida cancellò dalle liste 57.700 elettori iscritti come democratici, dando di fatto la vittoria al candidato repubblicano che sconfisse Al Gore per poco più di 500 (cinquecento) voti.

Piera Vincenti

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