VEDERE LA VITA, VEDERE IL MONDO

“Vedere la vita, vedere il mondo”. Proclamava il programma di Henry Luce sulla nascita di Life. Le foto accompagnano quasi sempre una notizia, aumentandone la forza evocativa. Le fotonotizie possono addirittura sostituire un articolo e spesso, se riescono a raccontare un fatto, sono più efficaci di mille parole. Questo concetto è stato messo in pratica da tanti fotografi e fotogiornalisti prestigiosi, come Robert Capa che si fece apprezzare ancor di più con una foto dal titolo “Il momento della morte” scattata durante la guerra civile spagnola. Nell’immagine si vede un miliziano repubblicano con una camicia addosso che cade all’indietro su un terreno in pendio aprendo le braccia e perdendo il fucile. Molti sono stati i fotogiornalisti che con i loro scatti hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia del giornalismo. Fra questi figura anche Ermanno Rea, giornalista e scrittore che ha collaborato con numerosi quotidiani e settimanali. Fra i suoi testi “Il Po si racconta. Uomini donne paesi e città di una Padania sconosciuta” (1990), “L’ultima lezione. La solitudine di Federico Caffè scomparso e mai più ritrovato” (1992), “Mistero napoletano. Vita e passione di una comunista negli anni della guerra fredda”.  Il 10 ottobre 2012 uscirà per Feltrinelli “1960 Io reporter”, in cui Rea narra la sua breve ma intesa esperienza nel mondo del fotoreportage.

«La fotografia è stata per me una grande passione; la Leica, il mio salvagente in una stagione di disillusione politica. Era la fine degli anni Cinquanta, non esisteva scollamento, allora, tra pubblico e privato: i dubbi, le contraddizioni, le domande senza risposta su quel che restava del sogno comunista segnarono la nostra generazione. In me, poco più che trentenne, il segno fu tanto profondo da spingermi a lasciare non soltanto la redazione di “Vie Nuove” (il settimanale del Pci per il quale scrivevo dopo l’esperienza all’“Unità”) ma addirittura il giornalismo, nella convinzione che continuare a praticarlo avrebbe voluto dire tradire le mie idee e trasformarmi da militante comunista nel suo opposto. Preferii partire alla volta di Berlino e trasformarmi in fotografo giramondo. Per cinque anni non feci altro che viaggiare spiando i volti delle persone nei paesi più lontani. Poi i tempi cambiarono, e con essi, un po’ alla volta, anche le mie decisioni», scrive nel suo libro.

Maria Ianniciello

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