MADE IN ITALY, IL LATO OSCURO DELLA MODA

Made in Italy, un marchio di garanzia per il consumatore, e di lustro per il nostro Paese. Ma cosa si intende davvero per made in Italy? Cosa prevede la normativa italiana? L’impiego dell’indicazione made in Italy è regolata dalla legge n.55 dell’8 aprile del 2010, che recita così: «L’impiego  dell’indicazione Made in Italy è permesso esclusivamente  per  prodotti  finiti  per  i  quali le fasi di lavorazione, come definite ai commi 5, 6, 7, 8 e 9, hanno avuto luogo prevalentemente  nel territorio nazionale ed in particolare se almeno due delle fasi di lavorazione per ciascun settore sono state eseguite nel territorio medesimo e se per le rimanenti fasi è verificabile la tracciabilità. Nel settore tessile, per fasi di lavorazione  si  intendono:  la filatura, la tessitura, la nobilitazione e la confezione compiute nel territorio italiano anche utilizzando fibre naturali,  artificiali  o sintetiche di importazione».

Nello specifico la nobilitazione è costituita da una serie di operazioni, tra queste il finissaggio, che altro non è che l’operazione di stiraggio o di spazzolatura del capo. Quindi  secondo la normativa italiana, un capo che abbia subito le fasi di finissaggio e di packaging in Italia ha diritto all’indicazione made in Italy, anche se il tessuto è di importazione e se la maggior parte della lavorazione viene effettuata in paesi come la Romania e la Transnistria, stati dove le case di moda italiane reperiscono manodopera a basso costo e dove le leggi a tutela dei lavoratori sono quasi inesistenti.

Questo e molto altro è quello che descrive Giò Rosi, pseudonimo utilizzato da un addetto ai lavori del mondo della moda per descrivere cosa si nasconde dietro il marchio made in Italy, dando così voce a quelli che a pieno titolo possono essere definiti gli schiavi del nuovo millennio al servizio del lusso, puntando così anche il riflettore sulle piccole medie imprese del settore tessile italiano, vanto del nostro Paese, che negli anni sono state messe in ginocchio dalla delocalizzazione. Made in Italy. Il lato oscuro della moda, edito da Anteprima (119 pagg, 12 euro), è un libro da leggere tutto d’un fiato, per immergersi in una realtà che per nulla riflette il luccichio delle vetrine lussuose che siamo abituate a guardare. Fashion victims si, ma consapevoli.

Doralda Petrillo

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